Nel suo ultimo libro « L’esprit malin du capitalisme », Pierre-Yves Gomez, professore all’EM Lyon, conduce un’inchiesta sulla struttura del capitalismo contemporaneo. Un sistema economico che si sviluppa non solo in Occidente, ma anche, da qualche anno, nei paesi emergenti come l’India e la Cina.
L’inizio dell’inchiesta
Per spiegare il passaggio dal capitalismo classico al capitalismo speculativo di oggi, Gomez prende come punto di partenza un evento che ha cambiato le cose: la riforma dei fondi pensione negli Stati Uniti.
La legge ERISA (Employee Retirement Income Security Act), promulgata dal presidente Gerald Ford nel 1974, perseguiva l’obiettivo di proteggere le pensioni dei lavoratori dal rischio di fallimento delle imprese.
Per fare in modo che i lavoratori potessero acquisire sufficienti diritti pensionistici durante la loro vita attiva, la legge ERISA ha delegato la gestione e le scelte di portafoglio a degli organismi di investimento autonomi e professionali.
Questa riforma avrebbe dovuto riguardare i soli Stati Uniti, Invece, ha provocato un piccolo movimento tellurico sotterraneo e ha determinato delle profonde trasformazioni strutturali a livello mondiale.
È a partire da questo momento che i fondi di pensione entrano in scena. Essi cominciano a giocare un ruolo attivo sui mercati finanziari e a esercitare una pressione importante sulla governance delle società quotate. La loro regola d’oro è che le promesse di guadagno che gli investitori fanno a coloro che gli affidano il loro risparmio devono essere onorate anno dopo anno.
Il cuore dell’inchiesta: la fragilità del capitalismo speculativo
In tutti gli ambiti della vita sociale, gli indici, le annotazioni e le classifiche hanno cominciato a proliferare. Sono ormai classificati e provvisti di rating: gli ospedali, le università, i ristoranti, gli uomini politici e anche le relazioni sentimentali.
Lo spirito insidioso del capitalismo speculativo ha dunque stravolto la sfera finanziaria, l’economia reale, l’organizzazione del lavoro e delle imprese, la consumazione, la cultura, la mentalità e la vita quotidiana per produrre una società materialista, febbrile e fatalista.
Il capitalismo speculativo avrebbe potuto scomparire dopo gli eccessi rilevati durante la crisi economica del 2008. Ma ancora una volta, la tecnocrazia speculativa è riuscita a utilizzare la crisi come una leva per rinnovare le promesse dell’Avvenire.
Essa ha messo in atto tutti i mezzi e ha adottato le misure necessarie per evitare il panico dei mercati, le tensioni sociali e l’affossamento di un sistema, che avrebbe potuto precipitare il mondo nel caos economico.
La tecnocrazia speculativa ha, di fatto, riscritto i suoi orizzonti: l’apertura di nuovi mercati in Asia e soprattutto in Cina, la creazione di start-up dinamiche e performanti e lo sviluppo della digitalizzazione nell’industria tradizionale e nel settore digitale propriamente detto, sono divenute le sue nuove frontiere.
L’epilogo dell’inchiesta
Malgrado ciò, si ha l’impressione che il capitalismo speculativo sia in affanno. La ricerca della logica del profitto ad ogni costo ha compromesso seriamente la struttura e la credibilità stessa del capitalismo speculativo.
Si potrebbero prendere in considerazione altre soluzioni per creare un nuovo modello economico. Può sembrare strano, ma allo stato attuale non ci sono soluzioni per porre fine al capitalismo speculativo.
Quest’ultimo è stato concepito come una sorta di labirinto, ed è là all’interno del meccanismo del labirinto che si trova la soluzione. Per riorientare il capitalismo e dargli una dimensione più umana, è necessario sviluppare una coscienza collettiva capace di mettere in dubbio il sistema e le sue promesse dell’Avvenire.
Nessuno l’ha mai fatto finora, né la politica, né i governi e ancora meno i territori e le collettività. Sarebbe sufficiente seminare il dubbio prendendo la parola in pubblico per non lasciare campo libero al «laisser faire».
Prendere la parola permette, a tutti quelli che sono stati marginalizzati dal capitalismo speculativo, di tracciare le differenze tra il mondo prestabilito e il mondo vissuto, e di lanciare le iniziative necessarie per ristabilire un legame più solido con l’economia reale.
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