Vista dall’Europa, la guerra commerciale tra gli Stati Uniti e i paesi europei costituisce certamente il dossier economico internazionale più caldo sull’agenda del nuovo presidente americano Joe Biden. Gli Stati Uniti, dall’inizio degli anni 2000, hanno perseguito imprese europee di primo piano e hanno inflitto sanzioni pecuniarie che ammontano a centinaia di milioni o addirittura di miliardi di dollari.

Per l’Europa e in particolare per i paesi europei occidentali, l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca può essere l’occasione per stabilire le condizioni di un livello di gioco paritario, necessario per migliorare la qualità delle relazioni transatlantiche e correggere l’asimmetria di cui oggi soffrono le imprese europee.

Il carattere extraterritoriale di alcune leggi americane

La mondializzazione dei mercati, la facilità di comunicazione e dei mezzi di trasporto, i progressi tecnici e le crisi economiche hanno favorito lo sviluppo della criminalità internazionale e la sua infiltrazione nell’economia lecita. I grandi gruppi internazionali, come le piccole e medie imprese (PMI), sono oggetto di tentativi di strumentalizzazione a fini di corruzione, di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo.

Gli Stati Uniti sono stati i primi a reagire a tali minacce e hanno messo in atto una strategia politica, coerente ed efficace, per attenuare gli effetti negativi della mondializzazione e proteggere i loro interessi strategici.

Questi hanno progressivamente esteso il campo di applicazione delle loro leggi e hanno rafforzato la portata extraterritoriale dei loro dispositivi[1]. Chiunque voglia continuare a mantenere aperto l’accesso al mercato americano deve accettare l’uso di queste regole e cooperare con le autorità americane.

Sul piano politico e geopolitico, occorre sottolineare che gli Stati Uniti non sono gli unici ad emanare un diritto a portata extraterritoriale e ad applicarlo. Altri Stati lo fanno, a cominciare dal Regno Unito, dall’Italia, dalla Cina e dal Giappone che si sono dotati di legislazioni molto ambiziose volte a prevenire e reprimere la corruzione internazionale[2].

In ogni caso, l’extraterritorialità è solo un aspetto della questione. L’aspetto principale è più politico: gli Stati Uniti utilizzano il loro arsenale giuridico per influenzare la politica dei paesi amici, alleati o nemici, per difendere i loro interessi geostrategici ed economici e per arricchire le casse del Tesoro americano.

Il Foreing Corrupt Practices Act (FCPA) e la sua applicazione

Durante gli anni settanta, il caso Lockheed e lo scandalo Watergate hanno dato luogo a indagini giudiziarie. Ed è stato allora che l’opinione pubblica americana ha scoperto i legami esistenti tra il finanziamento illecito dei partiti politici e i meccanismi di corruzione, nazionali e transnazionali, per l’ottenimento di contratti. In risposta, il presidente Jimmy Carter ha deciso di incriminare la corruzione americana di funzionari pubblici stranieri e ha promulgato, nel 1977, il Foreing Corrupt Practices Act (FCPA).

Questa legge è diventata il testo di riferimento in materia di lotta contro la corruzione. Il FCPA ha di fatto svolto un ruolo importante nell’adozione degli standard internazionali attuali e in particolare ha ispirato la Convenzione OCSE del 21 novembre 1997 sulla lotta contro la corruzione di funzionari pubblici stranieri nelle transazioni commerciali internazionali[3].

Il FCPA punisce esclusivamente la corruzione attiva e lascia da parte la corruzione passiva di funzionari pubblici stranieri. Il testo si applica ai cittadini e residenti americani, ma anche a tutte le persone non americane che hanno un collegamento sufficiente con il territorio americano. Nel 1998, sotto la presidenza di Bill Clinton, gli Stati Uniti hanno adottato l’International Bribery Act e messo in conformità il FCPA con la Convenzione OCSE del 1997.

Ciò ha permesso di estendere l’ambito di applicazione del FCPA a qualsiasi atto compiuto sul territorio americano da una persona fisica o giuridica straniera che partecipi, direttamente o indirettamente, alla commissione di un atto di corruzione in qualsiasi Paese[4].

Per individuare il nesso di collegamento sufficiente, le autorità americane adottano un’interpretazione estensiva del campo di applicazione del FCPA e utilizzano numerosi criteri per affermare la loro competenza.

In definitiva, per un’impresa straniera può costituire un legame di collegamento sufficiente: la quotazione della società su un mercato americano, il coinvolgimento diretto o indiretto di una filiale in un atto di corruzione oppure l’utilizzazione di mezzi attinenti al commercio (dollaro, telefonata, e-mail) transitati negli Stati Uniti e utilizzati per atti di corruzione.

Piuttosto che lanciarsi in un processo lungo e costoso negli Stati Uniti – con il rischio di perdere la licenza di esportazione e l’accesso ai mercati americani, e di subire conseguenze potenzialmente drammatiche in termini di reputazione e immagine – le imprese straniere accettano di collaborare con il DOJ (Departement of Justice) e la SEC (Securities and Exchange Commission) e di negoziare un accordo transattivo, generalmente un DPA (Deferred Prosecution Agreement), in cambio della rinuncia ad azioni giudiziarie.

Tale impegno comporta il pagamento di una sanzione importante in milioni di dollari, la realizzazione di un’indagine interna, l’ammissione di taluni fatti all’origine delle azioni giudiziarie e l’obbligo di attuare un programma di conformità (compliance programs) efficace seguito, se del caso, dalla nomina di un supervisore indipendente (corporate monitor), che valuterà – durante la durata del suo mandato (tre o cinque anni) – l’efficacia delle misure adottate.

Il rapporto finale del supervisore indipendente deve quindi permettere al DOJ di verificare che le imprese straniere abbiano correttamente attuato programmi di conformità e abbiano adottato misure di prevenzione e di monitoraggio per impedire in futuro la commissione di atti corruttivi. Questa tappa è una condizione essenziale per l’approvazione del DPA da parte di un giudice federale e per l’abbandono definitivo delle azioni legali da parte del DOJ.

L’approccio di questa procedura negoziata è estremamente efficace. Il potere intrusivo del DOJ – che può basarsi su una task force che riunisce diversi servizi: la SEC (Securities and Exchange Commission), l’OFAC (Office of Foreing Asset Control) e l’FBI (Federal Bureau of Investigation) – è senza equivalenti nel mondo.

Come può difendersi l’Europa ?

Di fronte a questa politica aggressiva degli Stati Uniti, la comunità internazionale e in particolare i paesi europei sono molto preoccupati. Se le autorità americane hanno potuto agire così a lungo unilateralmente, ciò è dovuto anche alla mancanza in Europa di un tale sistema di diplomazia giuridica e di dispositivi efficaci per prevenire gli atti di corruzione.

Lo sviluppo del diritto europeo in materia di lotta contro la corruzione si è realizzato in modo insufficiente e tardivo. A partire dagli anni ’90, il Consiglio d’Europa ha adottato due convenzioni[5]e ha introdotto meccanismi di controllo (GRECO) per valutare i dispositivi di prevenzione contro la corruzione messi in atto da ciascuno Stato membro dell’UE.

L’Unione europea ha inoltre adottato una decisione quadro 2003/568/GAI del 22 luglio 2003 relativa alla lotta contro la corruzione che impone agli Stati membri di istituire sanzioni efficaci e proporzionate contro gli atti di corruzione nel settore privato.

Inoltre, il trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea, entrato in vigore il 1º dicembre 2009, ha inserito la corruzione nell’elenco dei dieci «euro crimini»[6] e ha conferito all’Unione europea la competenza per legiferare in materia penale.

A livello locale, ogni Stato membro ha introdotto dispositivi per conformarsi a questi testi europei. Tuttavia, il fenomeno della corruzione e il problema dell’extraterritorialità del FCPA non sono presi in considerazione con la stessa intensità da tutti gli Stati membri. Mentre alcuni si preoccupano seriamente delle conseguenze sulle loro imprese (l’Irlanda e in particolare la Francia). Altri paesi europei che non possiedono multinazionali si ritengono poco esposti al rischio dell’extraterritorialità.

Queste constatazioni rivelano quindi delle inequivocabili mancanze. Esse sono dovute essenzialmente all’inefficacia dei dispositivi in vigore, ma soprattutto alla mancanza di volontà politica dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, che finora non ha ritenuto opportuno fare della lotta contro la corruzione una priorità.

Per cambiare la situazione è essenziale che l’Unione europea si doti senza indugio di una politica strategica e globale di lotta contro la corruzione allo scopo di armonizzare le legislazioni nazionali dei vari Stati membri, difendere i propri interessi strategici ed economici e riequilibrare le relazioni con gli Stati Uniti in materia di extraterritorialità.

Nonostante la sua complessità, questa sfida di primaria importanza è del tutto realizzabile. L’Europa ha oggi un buon interlocutore alla Casa Bianca e può discutere da pari a pari con il presidente Joe Biden per costruire insieme un nuovo patto fondatore per calmare le tensioni e rafforzare la cooperazione tra l’Europa e gli Stati Uniti.

gp@giovannellapolidoro.com

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[1] L’adozione di norme di portata extraterritoriale è stata particolarmente sensibile in tre settori: i regimi di sanzioni internazionali (le leggi Helms-Burton e Amato-Kennedy del 1996), la lotta contro la corruzione di funzionari pubblici stranieri (Foreing Corrupt Practices Act promulgato nel 1977, modificato nel 1988 e poi, soprattutto, nel 1998) e l’applicazione della fiscalità personale americana ai cittadini americani non residenti (Foreign Account Tax Compliance Act – FATCA del 18 marzo 2010 entrato in vigore nel 2014).

[2] La legge del 2010 sulla corruzione (Bribery Act), entrata in vigore il 1º luglio 2011, pone il Regno Unito tra i paesi dotati delle norme anticorruzione più severe del mondo. L’Italia ha adottato il Decreto legislativo n°231 dell’8 giugno 2001 relativo alla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche senza status giuridico. Il Giappone ha adottato nel 1948 il Securities and Exchange Act. Questo testo è stato modificato nel 2006 per diventare il Financial Instrument and Exchange Law.

[3] La Convenzione è entrata in vigore il 15 febbraio 1999 e finora l’hanno ratificata quarantaquattro Stati, otto dei quali non sono membri dell’OCSE. Questa legislazione si ispira nettamente al FCPA americano, in particolare in quanto limita il suo campo di applicazione alla corruzione di funzionari pubblici stranieri, alla corruzione attiva – e non passiva -, nonché alle azioni illegali allo scopo di conservare o ottenere un mercato.

[4] Per maggiori dettagli v. A. Gaparon et P. Servan-Schreiber, « Deals de justice – Le marché américain de l’obéissance mondialisée ».

[5] Il Consiglio d’Europa ha adottato una Convenzione penale sulla corruzione, aperta alla firma il 27 gennaio 1999, completata da una Convenzione civile aperta alla firma il 4 novembre 1999.

[6] V. articolo 83 del trattato di Lisbona sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)