La corporate governance, fino a qualche anno fa, suscitava in Italia scarso interesse da parte della maggioranza degli addetti ai lavori, che la consideravano come un semplice argomento alla moda.
Tale disinteresse potrebbe essere spiegato alla luce delle tre seguenti considerazioni. Anzitutto, il primo Codice di corporate governance è stato adottato solo nel 1999. In secondo luogo, il diritto italiano ha raggiunto un buon livello nel confronto internazionale, grazie, in particolare, alla riforma dei mercati finanziari completata nel 1998 e alla riforma del diritto societario nel 2003. Misure quest’ultime che hanno permesso di migliorare la qualità dell’informazione destinata al mercato, la protezione degli azionisti di minoranza e la governance delle società quotate. Infine, la struttura dell’azionariato delle società quotate italiane, con la presenza di un azionariato concentrato, non corrispondeva alle problematiche della corporate governance dei paesi anglosassoni, con società quotate ad azionariato diffuso.
In Italia, quindi, le norme che organizzano i modi di governance e il funzionamento delle società quotate sono di origine legale e regolamentare con disposizioni contenute nel Codice civile e nel Tuf (Testo Unico della Finanza) che disciplina i mercati finanziari. A ciò si aggiungono i principi raccomandati dal Codice di autodisciplina a cui quasi tutte le società italiane quotate hanno dichiarato di aderire.
La scelta della struttura di governance
Le società italiane quotate possono adottare tre forme di governance assai diverse: la società tradizionale con consiglio di amministrazione e collegio sindacale, la società duale con consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza, e la società monistica con consiglio di amministrazione che nomina al suo interno un comitato per il controllo di gestione.
La scelta tra questi diversi sistemi, lungi dall’essere scontata, deve essere fatta tenendo conto della struttura dell’azionariato, della complessità dell’organizzazione, del settore di business e dell’ambiente in cui opera l’impresa. Ogni forma di governo presenta vantaggi e svantaggi.
La differenza più evidente riguarda l’organizzazione del potere di controllo, che differisce da una forma di governo all’altra.
Così, il potere di controllo può essere esercitato sia da un organo sociale puramente dedicato alla supervisione e interno all’impresa (il collegio sindacale nella forma tradizionale e il consiglio di sorveglianza nella forma duale), sia da un organo ad hoc creato all’interno del consiglio di amministrazione (il comitato per il controllo della gestione nella società monistica).
Indipendentemente dal modo di governance scelto, il controllo dei conti annuali e consolidati è affidato ad un organismo esterno alla società: un revisore o una società di revisione. Questo organo è nominato dall’assemblea generale degli azionisti dopo aver ricevuto il parere favorevole dell’organo di controllo della società.
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La società tradizionale
La società con consiglio di amministrazione e collegio sindacale è il modello base in Italia. Prevede una chiara separazione dei poteri di amministrazione e di controllo. Per le sue caratteristiche di governo dualistico, la forma tradizionale costituisce un unicum nel panorama giuridico.
L’assemblea generale degli azionisti nomina i membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale. Il consiglio di amministrazione è un organo collegiale responsabile dell’amministrazione, dell’orientamento strategico dell’impresa e della sua attuazione. Dispone ugualmente di un potere di supervisione sulla gestione condotta dall’equipe di direzione.
Salvo disposizione contraria dello statuto, il consiglio di amministrazione può delegare alcune delle sue prerogative a uno o più amministratori delegati o a un comitato esecutivo (anche se questa ipotesi è molto rara). Gli organi delegati devono definire la struttura organizzativa, amministrativa e contabile della società, tenendo conto dell’assetto proprietario, delle dimensioni dell’organizzazione e della governance della società.
Sulla base delle informazioni fornite dagli organi delegati, il consiglio valuta la conformità della struttura organizzativa adottata, esamina i piani strategici, industriali e finanziari definiti dal management e vigila sul funzionamento generale della società.
Il consiglio di amministrazione è guidato dal suo presidente. Il numero degli amministratori – se non è stato fissato dall’atto costitutivo – è determinato dall’assemblea generale degli azionisti, che ne fissa anche la remunerazione.
Il Tuf precisa che lo statuto può prevedere una clausola per disciplinare l’uso del meccanismo del voto di lista per eleggere i membri del consiglio di amministrazione.
In questo caso, tutti i membri, compresi gli amministratori che rappresentano il sesso meno rappresentato, gli amministratori che rappresentano gli azionisti di minoranza e gli amministratori indipendenti, possono essere eletti sulla base di liste di candidati e nel rispetto delle seguenti quote:
- Almeno un terzo dei membri del consiglio deve appartenere al sesso meno rappresentato.
- Almeno un membro del consiglio deve essere eletto dalla lista degli azionisti di minoranza che ha ottenuto il maggior numero di voti. Detta lista non deve essere collegata, nemmeno indirettamente, agli azionisti che hanno presentato e votato la lista che è risultata prima ed ha ottenuto il maggior numero di voti.
- Almeno un membro del consiglio o due membri – se il consiglio ha più di sette membri – devono soddisfare i requisiti di indipendenza[1].
I membri del consiglio di amministrazione rimangono in carica per tre esercizi e sono rieleggibili.
Il collegio sindacale, da parte sua, ha il compito di esercitare un controllo di legittimità su tutti gli aspetti che riguardano la vita della società. In particolare, deve verificare la conformità e il funzionamento della struttura organizzativa, amministrativa e contabile della società con le leggi, gli statuti e i regolamenti, e garantire il rispetto del principio di buona amministrazione.
Il collegio si compone di almeno 3 membri titolari e di 2 supplenti eletti dall’assemblea generale degli azionisti. Salvo disposizione contraria dello statuto, l’elezione dei consiglieri può realizzarsi sulla base del meccanismo del voto di lista.
Almeno un membro titolare del collegio sindacale deve essere nominato dagli azionisti di minoranza. Tutti i membri del collegio devono soddisfare le condizioni di onorabilità, indipendenza e professionalità.
Per l’applicazione di quest’ultima condizione, la legge prevede che almeno un membro titolare (se l’organo è composto da tre consiglieri) o due membri titolari (se il numero dei consiglieri è superiore a tre) del collegio sindacale deve essere scelto tra i professionisti iscritti nel registro dei revisori contabili.
I membri del collegio sindacale rimangono in carica per tre esercizi e possono essere revocati per giusta causa. Il presidente del collegio sindacale è scelto tra i consiglieri nominati dagli azionisti di minoranza.
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La società duale
La società con consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza è il modello base in Germania, così come in altri paesi europei. Tale sistema è stato introdotto in Italia e offerto come modo di governance alternativo dalla legge di riforma del diritto societario del 2003. La società duale è particolarmente adatta alla realizzazione di grandi progetti imprenditoriali la cui gestione è affidata a manager autonomi e professionali, che non sono soggetti alle interferenze dell’azionista di controllo.
In questa forma di governo, le prerogative dell’assemblea generale sono limitate al diritto di nominare i membri del consiglio di sorveglianza, di approvare i conti annuali e consolidati e di prendere le decisioni più importanti.
La società duale permette dunque di realizzare una divisione netta tra l’organo di gestione e l’organo di consiglio e di supervisione.
Il consiglio di gestione è incaricato dei compiti di gestione e di alta direzione e non può interferire nell’esercizio delle missioni assegnate al consiglio di sorveglianza.
Il consiglio di gestione si compone di almeno due membri. Il Tuf stabilisce che se il consiglio di gestione è formato da quattro o più membri, uno di loro deve essere indipendente. Tutti i membri del consiglio di gestione devono soddisfare i requisiti di onorabilità e professionalità. Il legislatore italiano ha voluto così sottolineare che i membri del consiglio di gestione devono essere manager esperti dotati di competenze e conoscenze necessarie per svolgere adeguatamente le loro funzioni.
Il consiglio di sorveglianza ha, invece, il compito di consigliare e controllare la qualità della gestione dei manager. In linea di principio, questo organo di controllo non esercita alcuna prerogativa di gestione. Tuttavia, nel diritto italiano, lo statuto può riconoscere al consiglio di sorveglianza un potere di co-decisione con il consiglio di gestione, in particolare per quanto riguarda la definizione di operazioni strategiche e di alta direzione. Chiaramente lo statuto non può limitare in toto le prerogative dell’assemblea degli azionisti, ma può autorizzare il consiglio di sorveglianza a emettere dei pareri non vincolanti nei confronti del consiglio di gestione.
Il consiglio di sorveglianza è quindi un organo misto di amministrazione e di controllo, essendo responsabile della nomina e della revoca dei membri del consiglio di gestione. Detto organo si compone di almeno tre membri che devono soddisfare i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza. Il Tuf prevede che almeno uno di essi debba essere scelto tra i professionisti iscritti nel registro dei revisori contabili.
Nonostante presenti un indubbio interesse dal punto di vista della separazione dei poteri, il sistema dualistico non è attualmente troppo utilizzato in Italia.
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La società monistica
La forma della società monistica deriva dalla tradizione anglosassone ed è stata introdotta in Italia dalla legge di riforma del 2003. Questa forma di governance presenta la particolarità di concentrare tutto o parte del potere esecutivo e di supervisione nel consiglio di amministrazione, i cui membri sono eletti dall’assemblea generale degli azionisti.
La legge autorizza, tuttavia, il consiglio di amministrazione a nominare al suo interno un comitato per il controllo di gestione formato esclusivamente da amministratori non esecutivi e indipendenti. Tale comitato si compone di tre membri, di cui almeno uno deve essere iscritto nel registro dei revisori contabili.
L’istituzione del comitato ha lo scopo di controbilanciare il potere del consiglio di amministrazione. Come tale, il comitato ha il compito di vigilare sulla conformità della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno, del sistema amministrativo e contabile e di svolgere tutti gli altri compiti affidatigli dal consiglio di amministrazione. Il comitato di controllo svolge, quindi, un ruolo consultivo all’interno del consiglio e non ha alcun potere esecutivo.
Da un punto di vista comparativo, il comitato per il controllo di gestione di diritto italiano si differenzia nettamente dal comitato d’audit (audit committee) di diritto americano, che è un organo, invece, dotato di importanti poteri decisionali.
La forma della società monistica ha il vantaggio di privilegiare il dialogo tra i membri del consiglio di amministrazione, di facilitare la comunicazione e la qualità dell’informazione al suo interno e di favorire un rapido processo decisionale in modo da soddisfare le ambizioni di investimento degli azionisti.
Per le sue caratteristiche, la società monistica può essere un buon modo di governance per le società molto dinamiche (come le start-up, per esempio) che vogliono limitare i costi operativi e hanno bisogno di un processo decisionale più veloce ed efficiente.
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[1] v. articolo 147-ter del Tuf (Decreto legislativo n°58 del 24 febbraio 1998).