In seguito alla crisi economica finanziaria del 2008, vari attori economici hanno cominciato a discutere della pressione che i mercati finanziari esercitano sul processo decisionale dei dirigenti e a interrogarsi sul ruolo dell’impresa societaria.

In particolare, denunciano gli obiettivi a breve termine seguiti da alcuni investitori e criticano l’eccessiva potenza delle grandi imprese, accentuata dal moltiplicarsi dei prodotti finanziari e dalla mondializzazione dei mercati

Parimenti, evidenziano che un sistema economico fondato sul lungo termine presuppone che le società e i loro azionisti non devono ricercare una redditività folle, ma devono prendere seriamente in considerazione le sfide sociali e ambientali. Il profitto non è il motore dell’innovazione: è soltanto la conseguenza dell’esercizio di un’attività economica.

Di fatto, questo equivoco è nato dal fatto che gli standard anglo-americani di corporate governance tendono ad allineare gli interessi dei dirigenti d’impresa al valore azionario. Ciò ha portato ad una finanziarizzazione delle imprese e ad incrementare la ricerca del breve termine.

Tuttavia, siffatta tendenza non tiene conto del fatto che oggi le imprese, in particolare le grandi società quotate in borsa, devono affrontare una varietà di interessi concorrenti, ma anche nuove sfide che avrebbero richiesto un lavoro di prospettiva di più lungo termine.

Le multinazionali con poteri finanziari smisurati sono diventate più forti di alcuni Stati. Tessono una fitta rete di filiali e di relazioni capitalistiche e sono tenute a contribuire all’interesse generale, e a ricercare una crescita ragionata di benessere e di progresso che vada a vantaggio di tutti. Tali realtà economiche hanno responsabilità di natura sociale, ambientale e politica e non possono disinteressarsi totalmente o minimizzare le rivendicazioni avanzate dalle parti interessate e dalla società civile nel suo insieme.

Il governo francese non si è sottratto a tale tendenza di pensiero globale. E ha affidato una missione su «L’impresa, oggetto di interesse collettivo» a Nicole Notat e a Dominique Sénard con l’obiettivo di ripensare al ruolo dell’impresa nella società contemporanea. Un ruolo che non può ridursi al solo profitto degli azionisti. L’impresa deve prendere coscienza dell’impatto che le sue attività possono avere sull’ambiente e nelle relazioni con le parti interessate e integrarle nei suoi obiettivi strategici.

Il rapporto Notat-Sénard è stato reso pubblico il 9 marzo 2018. A dire il vero, questo rapporto, che è servito da supporto intellettuale al progetto di legge PACTE, aveva una portata molto più ampia poiché riguardava la questione relativa all’interesse collettivo o all’interesse generale delle grandi società quotate in borsa[1].

Senza dubbio, la presa in considerazione di questa visione avrebbe avuto come conseguenza una rimessa in discussione radicale del regime giuridico attuale. Alla fine, il legislatore della legge PACTE (LOI n°2019-486 del 22 maggio 2019) sulla crescita e la trasformazione delle imprese ha optato per un approccio meno ambizioso, senza compromettere eccessivamente il sistema.

Ha quindi deciso di modificare due importanti disposizioni di diritto comune delle società e di introdurre nel Codice civile le nozioni di interesse sociale e di ragion d’essere.

L’interesse sociale

La nozione di interesse sociale non è mai stata definita dal legislatore francese, ma sono stati i giudici a crearla nel tempo. La legge PACTE consacra così, nel Codice civile, questa nozione e ne fa un imperativo di gestione. Il nuovo testo dell’articolo 1833 del Codice civile dispone che:

La società è gestita nell’interesse sociale, prendendo in considerazione le questioni sociali e ambientali derivanti dalla sua attività[2].

La volontà di cambiamento della legge PACTE è chiara: le società non devono più essere gestite nell’interesse degli azionisti, ma nell’interesse sociale, tenendo conto delle aspettative delle altre parti interessate (dipendenti, fornitori, comunità locali…). La menzione delle sfide sociali e ambientali permette, in effetti, di precisare che i dirigenti devono interrogarsi su questi temi e considerarli con attenzione nell’interesse della società.

In concreto, ciò presuppone che i consigli di amministrazione e i consigli di gestione – che sono gli organi sociali direttamente interessati dalla legge PACTE – debbano dotarsi dei mezzi (ad esempio attraverso la creazione di un comitato di studio specifico) per valutare, a monte del processo decisionale, le conseguenze sociali e ambientali legate all’esercizio dell’attività economica dell’impresa[3].

Questa obbligazione di mezzi costituisce una tappa imperativa del processo decisionale. Pertanto, se decidono di escludere, per qualsiasi motivo, una decisione che può avere un impatto sociale o ambientale, i dirigenti e gli amministratori dovranno giustificare la loro scelta e dimostrare di aver preso la decisione giusta rispetto all’interesse sociale.

La ragion d’essere

Un altro nuovo concetto è quello della ragion d’essere. L’articolo 1835 del Codice civile prevede la possibilità di far figurare una ragione d’essere nello statuto e dispone che:

Gli statuti possono precisare la ragion d’essere, costituita di principi di cui la società si dota e per il rispetto dei quali intende destinare dei mezzi nella realizzazione della sua attività [4].

A differenza dei criteri sociali e ambientali, la ragion d’essere è facoltativa per le imprese. Di fatto, sono incitate a definire le linee di condotta o la visione a lungo termine verso cui l’attività dell’impresa dovrebbe tendere. Senza per questo tradursi in obiettivi, la ragion d’essere deve essere presa in considerazione dai consigli d’amministrazione e dagli amministratori e guidare il loro processo decisionale.

La ragion d’essere non si riassume in un’operazione di comunicazione o di marketing. Corrisponde a un vero e proprio impegno che offre l’opportunità di rivitalizzare il dialogo con le parti interessate e di ancorare il loro coinvolgimento nel lungo termine.

gp@giovannellapolidoro.com

 


[1] Questa questione è stata affrontanta in modo chiaro dal Gruppo di lavoro presieduto da Jacques Attali che nel rapporto « Pour une économie positive » del 2013 ha affirmato che l’articolo 1833 del Codice civile che dispone che « ogni società deve avere un oggetto lecito e essere costituita nell’interesse comune degli associati » potrebbe essere riformulata : « Ogni società deve avere un oggetto lecito, essere costituita e gestita nell’interesse plurale delle parti interessate e concorrere all’interesse generale, sopratutto economico, ambientale e sociale».

[2] v. Articolo 1833 comma 2 del Codice civile

[3] Il nuovo testo dell’articolo L.225-35, comma 1 del Codice di commercio dispone che : « Il consiglio di amministrazione determina le orientazioni dell’attività della società e provvede alla loro applicazione conformamente al suo interesse sociale, prendendo in considerazione le questioni sociali e ambientali della sua attività. Questi prende ugualmente in considerazione, Il prend également en considération, se del caso, la ragion d’essere definita in applicazione dell’articolo 1835 del codice civile. Fatti salvi i poteri espressamente attribuiti alle assemblee degli azionisti ed entro i limiti dell’oggetto sociale, il consiglio si occupa di qualsiasi questione che riguardi il buon funzionamento della società e regola con le sue deliberazioni le questioni che la riguardano».

[4] v. Articolo 1835 del Codice civile